martedì 27 agosto 2013

Lost in the supermarket


Venezia 70. La Mostra Internazionale di Arte Cinematografica, il festival più vecchio al mondo che come ogni anno apre la stagione cinematografica invernale. Un programma fitto di premiere che determinerà la programmazione delle sale fino al prossimo mese di maggio, quando, con il Festival di Cannes, la più nobile agenda francese manderà in panchina il programma veneziano. Ma se questo è vero per gran parte del pianeta, lo è un po' meno per il nostro paese. Di anno in anno, infatti, cadono a decine le vittime della censura commerciale italiana. Film premiati a Venezia o negli altri festival internazionali, piccoli e grandi capolavori, che il “sistema” giudica irricevibili per il pubblico e pertanto invisibili ai più. Di chi la colpa di questo stillicidio che annovera tra le vittime giovani autori all'esordio e maestri premiati con tanto di Oscar? La responsabilità principale è sicuramente delle distribuzioni italiane, che abituate ad incassare senza rischi, evitano come la peste film drammatici, opere prime e cast di scarso rilievo mediatico. Altra “complice” di pari importanza è la politica culturale italiana, la grande assente nelle arti visive, che prima finanzia a suon di milioni il red carpet festivaliero e poi abbandona al proprio destino film, produzioni e registi. Un'anomalia tutta italiana che non trova eguali in nessun paese europeo. Ultime, e non certo per importanza, sono le nostre responsabilità di spettatori che, assuefatti dal torpore della paytv, sistematicamente disertiamo le poche e decisive occasioni forniteci da piccole e sconosciute case di distribuzione sull'orlo del fallimento. Si evita così il film, la sala che lo proietta e ci si rivolge altrove: dove il facile ed accogliente già visto, non turba, né stimola od ossessiona come, invece a mio avviso, il cinema dovrebbe rigorosamente fare. Nel pensare alle tante sale vuote, frequentate quasi in maniera clandestina, ho davanti agli occhi l'interminabile sequenza di chilometri e chilometri di pellicolla riciclati in cambio di pettini e cottillon. Se passando da Roma, Bologna o Milano vi capitasse di perdervi nella zona industriale che ospita il magazzino destinato ad archiviare e distribuire i film per le sale limitrofe, invitabilmente vi accorgereste dei tanti container posteggiati difronte al magazzino stracolmi di pellicole di film a voi misteriosi. Opere d'autore, destinate non alle sale, ma a quella fabbrica tedesca che trasforma le immagini stampate su celluloide in materia plastica buona solo a dare vita ad inutili oggetti di uso quotidiano. Vedo questo e penso all'ultimo western di Gore Verbinski e alla battuta tormentone di Tonto, alias Johnny Deep, «...baratto sbagliato!». Purtroppo però non siamo in un cinematografico antico e selvaggio west, ma inevitabilmente va preso atto che il “bel paese morente”, inventore della primo festival cinematografico al mondo, è incapace di sostenere e rendere visibili migliaia di titoli che nel resto d'Europa riempiono le sale. Qui da noi appaiono e scompaiono, nel tempo di un “ciack”, La quinta stagione di Peter Brosens, Spring Breakers di Harmony Corine, Muffa di Ali Aydin e L'intervallo di Leonardo Di Costanzo, tanto per citare quattro titoli passati al festival l'anno scorso e subito diventati oggetti invisibili e puriginosi, dei quali si narrano fantomatiche apparizioni in misteriose sale di provincia. Ignoti marinai, anonimi Caboto e illustri nostromi scampati al naufragio in laguna ma che, a discapito del vento in poppa di stampa e pubblico straniero, entrano in secca a poche miglia dal porto di Venezia. A voi dunque un rapido vademecum opinabile ed estremamente partigiano di film e registi caduti in laguna negli ultimi tre anni di festival. 



NAUFRAGATI IN LAGUNA

Venezia 67. Attenberg di Athina Rachel Tsangari. Romanzo di formazione che porta sullo schermo una vita. Distante dai film sull'adolescenza “made in USA” pregni d'estetica e privi di sostanza. Cinema d'Europa a poche ore dalla crisi. Coppa Volpi all'interpretazione femminile. Essential Killing di Jerzy Skolimowski. L'America e/è il terrorismo in una sola parola. Vincent Gallo è l'archetipo della sopravvivenza. Skolimowski l'infernale «...somma sapienza e 'l primo amore». Premio speciale della Giuria e Coppa Volpi all'interpretazione maschile. Venezia 68. Wuthering heights di Andrea Arnold. Nessuna teatralità borghese. Non uno degli infiniti addattamenti del romanzo di Emily Brontë ha saputo narrare la violenta grazia della natura come la semplicità narrativa della Arnold. Opera verista. Premio Osella per la miglior fotografia. ¡Vivan las Antipodas! di Victor Kossakovsky. Ode alll'universo. Dal Cile alla Cina contrasti e conformità degli opposti. Prosa e poesia per un documentario terapeutico. Venezia 69. Paradies: Glaube di Ulrich Seidl. Secondo capitolo della trilogia Liebe / Glaube / Hoffnung. Vivisezione di un cattolicesimo che odia. Freak e personaggi alla Diane Arbus destinati a mondare ed odiare il prossimo come se stessi. Fotografia di un' Europa progenitrice e figlia di fedaici totalitarismi. Premio speciale della Giuria. Venezia 70. «A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e le velle, sì come rota ch'iugualmente è mossa, l'amor che move il sole e l'altre stelle». IN DANTE VERITAS.



dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.15