venerdì 29 marzo 2013

Orticaria post elettorale

Avrei voluto scrivere di altro: di Berlinale, di Oscar, di premi e grandi esclusi. Scrivere di film da scovare come The broken circle breakdown di Felix Van Groening, non ancora visto, ma vincitore assoluto della sezione Panorama e pertanto da tenere d'occhio. O scrivere di film da recuperare come Amour. Poi però... tra Grilli parlanti, Oscar menzogneri, Magistrati con il jet lag, Piacentini bastonati ed Indagati in trionfo: la mano è scivolata qui. Ieri notte, tra una birra e una chiacchiera, l'amico Marco ha avuto il grande merito di accendere il proiettore e, come visione mistica, è apparso Gianni Carretta Pontone: il tassista di A+R di Marco Ponti. Apro e chiudo parentesi su Marco Ponti: regista astratto e volitivo che nei primi anni 2000 ci ha deliziato con Santa Maradona e deluso con A+R, lasciandoci però il piacere di decine di clip di culto e citazioni raffinate. Su tutte, appunto, quel Gianni Carretta Pontone che, facendosi vox populi, grida nel traffico..... Lascio agli amanti della ricerca il piacere della scoperta: youtube ne è pieno. In tempo di elezioni, di esiti indecisi e di geni assoluti della comunicazione politica, apriamo una minuscola finestra su un certo cinema verità, esorcizzando in pellicola quello che un paese sembra incapace di pretendere: Berlusconi no!!!!!

QUALCHE TEMPO FA

Le mani sulla città, Napoli 1963: metafora e profezia. Leone d'Oro a Venezia, il film di Francesco Rosi è il miglior esempio di cinema verità mai realizzato nel e sul nostro paese. Opera potente che apre il sipario sui teatrini dell'amministrazione pubblica. Speculazioni edilizie, corruzione, compravendita di voti e conflitto d'interessi la fanno da padrone. A mezzo secolo da Le mani sulla città cambiano nomi e geografie politiche ma restano i buoni e i cattivi, distinti e riconoscibili, in un’Italia tronfia della sua miscellanea qualunquista. Salvatore Giuliano, Il caso Mattei, Cristo si è fermato ad Eboli, questo è Francesco Rosi: cinema e memoria di un paese edificato sull'oblio. Vedere il film cinquant’anni dopo riproduce come un’eco le parole di Giuseppe Tommasi di Lampedusa: «Noi fummo i gattopardi, i leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene; e tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra». TRISTEMENTE PROFETICO.


CHE TEMPO CHE FA

Tutto tutto niente niente, Viva l’Italia, Commedia sexy... inutile dilungarsi su certo cinema utile solo ad arricchire buona parte dei corruttori/produttori italiani. Basta assolvere commedie, o sedicenti tali, che raccontano un paese cialtrone e criminale, felice di esserlo. Basta giornali, showman, ed “insospettabili” del sistema mediatico assoldati per dare risonanza a tutto questo. Non servono 1000 battute: DI QUESTO CINEMA NE FAREMMO SINCERAMENTE A MENO!




dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.11

Se a gennaio hai già visto il film dell'anno


Fiasco, successo, pretenzioso, immortale, pretestuoso, capolavoro, storia del cinema, rottura immane... ne ho sentite di ogni. Social network, blog più o meno rispettabili, riviste online, riviste cartacee, ristoranti, bar e capannelli di discussione fuori dalle sale cinematografiche. In ogni luogo virtuale o meno si è celebrata l’apoteosi delle parole: discussioni e litigi interminabili sull’ultimo film di Paul Thomas Anderson, divertenti ed estenuanti come raramente mi è capitato di vivere per un opera cinematografica. Dapprima sorpreso, poi incuriosito dall’acredine con la quale ci si è scagliati contro un film che considero un capolavoro, ho chiesto un po’ in giro cercando un volontario o una volontaria che volesse divertirsi nel distruggere, dissacrare o più semplicemente sconsigliare la visione di The Master. Ne è nato un interessante featuring con Simone Rossi. A lui il ritornello del perché no, a me la strofa del perché si!!!


PERCHE’ NO

Inizia The Master e pensi a Il Petroliere, con l'incontro/scontro tra due uomini solo in apparenza agli antipodi. Il cinema di Anderson è sempre una goduria per la vista, con i suoi spazi aperti allestiti come un salotto buono. Ma se l'avvio è folgorante – l'isola, il centro commerciale – con la cinepresa che bracca il reduce Freddie (Phoenix); l'entrata in scena del corpulento Dodd (Hoffman), crea l'ingorgo. Non certo perché si navighi a vista. Il problema è in un discorso filosofico sul mondo troppo autoreferenziale, infarcito di momenti e situazioni inopinatamente lasciati in sospeso. Certo il messaggio implicito è chiarissimo: nessun Maestro può esistere senza un Allievo che lo idolatri. Ma poi? Il gioco di ambiguità che dovrebbe restituire lo smarrimento da dopoguerra di un Paese, non può bastare: e lo spettatore finisce per sentire puzza di fregatura. The Master è per questo un film poco riuscito. Ma da rivedere. Per capire se, e quanto volontariamente, il regista si sia divertito a confonderci.


PERCHE’ SI

The Master. Perché non vederlo? Perché privarsi di tanta rara bellezza? Non è lento lui, lo siete voi nel capire. Non è autoreferenziale, lo siete voi: incapaci di cogliere dentro lo schermo l’esposizione di un teorema che terrorizza le coscienze. Il racconto della natura capitalistica e dell’uomo postmoderno. Anderson riempie carne e spirito, con una lezione di regia che nel suo manifestarsi diventa storia del cinema. Una fotografia controluce che irrita i nostri occhi come l’unico specchio, funzionante, che riflette la nostra immagine distorta. L’imponente Dodd (Seymour Hoffman) vende ciò di cui l’uomo ha bisogno. Parole come elettrodomestici, cure come automobili, sogni come libri a domicilio. Mentre Dodd e la luciferina Peggy (Amy Adams) costruiscono il monte di pietà, il mostruoso Freddy (Joaquin Phoenix) offre loro una prateria di cambiali, prestiti al consumo, rate ed interessi. Un film nella crisi. Ma con una speranza: si può smettere di pagare. CHE A FALLIRE SIANO LE BANCHE!!!

dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.10

Mille e più non replico! Le “battute” al servizio di questo blog che si presenta con i piedi in due staffe. Un piede al di qua ed uno al di là della profezia Maya sulla fine del mondo

AL DI QUA

Larry Clark. Per chi non lo conosce dico che è nato in Oklahoma il 01/01/1943 e cito tre suoi film da vedere assolutamente: Kids, Bully e Ken Park. Dopo la visione di almeno uno dei tre, avendo compreso genere ed autore, veniamo al punto. Roma, 11 novembre 2012 - «Fuck Hollywood!» Così il caro Larry esordisce in conferenza stampa al termine della proiezione di Marfa Girl, il film che vincerà il Festival Internazionale del Film di Roma. «Io sono contro un sistema che è dominato da truffatori che amano solo il guadagno e dai quali non ho mai avuto un dollaro! Ho deciso: dal 20 novembre, tutti potranno vedere Marfa Girl al costo di $ 5,99 sul mio sito web: larryclark.com. Non ho mai fatto film per soldi, ma solo per onestà verso me stesso. Fuck, fuck, fuck!» Non serve trama, commento o anticipazione. Va visto e contestualizzato. Unica indicazione: Larry Clark non racconta storie, mette in scena il racconto della vita imparata da chi ha vita da raccontare. URTICANTE!


AL DI LA'

Django. Voce fuori campo: «Un uomo che alla durezza dell’azione sapeva unire la dolcezza di un amore senza speranza...». In campo lungo Franco Nero che trascina una bara nel fango, una mitragliatrice nascosta dentro la bara e 50 nazisti del profondo west da trucidare!! Il film di Sergio Corbucci del 1962 è, assieme a quelli di Sergio Leone, tra gli Spaghetti Western più famosi al mondo. Anche Takashi Miike, inquieto autore di The call, Zebraman e 13 Assasini, uno che di normale ha solo kimono e katana poggiati sul comodino, nel 2007 ne fa il suo Sukiyaki Western Django. Un Django nipponico, manga western e samurai, che sotto l’egida di Quentin Tarantino diventa una piccola grande perla di cinecitazionismo. E se Leone e Corbucci fanno gli Spaghetti partendo dai samurai di Akira Kurosawa, Miike e Tarantino fanno il Sukiyaki ispirati dalla Sora Lella. Sukiyaki alla matriciana che, aspettando il Django Unchained di Quentin Tarantino, sazia, affama e inganna l’attesa. BISTECCA ALLA TARTARA!


dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.9