venerdì 31 maggio 2013

Illustre vittima di un'opera prima

Ci risiamo. Capita talmente poco spesso, che ogni volta che accade, assume il fascino e il timore della prima volta. C’è in sala un film importante, da vedere, e da odiare/amare. C’è in sala un film del quale discutere. Dopo The master (il miglior film della stagione), tocca a La grande bellezza (forse il peggiore). Le scene di meravigliosa e straordinaria follia, che hanno portato le sale cittadine a dichiarare il “sold out” per le proiezioni del film di Sorrentino dello scorso fine settimana, mi hanno obbligato ad una riflessione più attenta. Perché le 2 ore e ½ trascorse in sala al cospetto di Toni Servillo mi sono sembrate un’impagabile perdita di tempo? Mi è corso in aiuto ancora una volta Simone Rossi, a conferma che i nostri gusti vanno in direzione opposta, e si è offerto di spiegarmi dove e perché sbaglio nell’analizzare il film di Sorrentino. Ovviamente non mi ha convinto... ed ecco a voi quanto ne segue: Simone è il suo perché si, io e il mio perché no a La grande bellezza.





PERCHE’ SI

Sorrentino e la ricerca della grande bellezza. Un lavorìo mentale che vive di contraddizioni, le stesse che innervano dall’inizio alla fine questa strana e straordinaria pellicola. C’è Jep, in primis, uomo di cultura, citazionista, che ha scritto un romanzo ‘alto’ quarant’anni prima, ma che oggi è il re del vuoto delle feste patinate; c’è la spogliarellista dalla meravigliosa esteriorità, ma malata; c’è il cardinale dello spirito che impartisce ricette culinarie per il corpo. E c’è Roma, magnifica e distante, immersa in una luce costante che pare filtrata dalle borgate polverose di Pasolini. La scrittura del regista si fa poesia e scomoda, senza scandalizzare, Flaubert, Celine, Proust. Il sublime che si innesta nel volgare: la grande bellezza è pure enorme bruttezza. E Fellini? I riferimenti sono chiarissimi: e se La Dolce Vita emerge quasi solo per quella struttura/non struttura della pellicola, le suggestioni più immediate sono quelle di 8 e ½ e Amarcord; fino alla Ardant/Magnani di Roma. Gli uomini di carne come le statue di pietra sono qui, appesi o immobili. Mentre la vita e l’arte che si vorrebbe imprigionare, fuggono via.


PERCHE’ NO

Estetica/anestetica. E mentre l'uomo in più gioca a fare l'amico di famiglia nei salotti romani, sotto le luci della ribalta c’è un’altra vittima de le conseguenze dell'amore. Ancora un divo si è perso nell'inutile ricerca de la grande bellezza. Jep Gambardella (Toni Servillo) è la rockstar incompiuta che ossessiona Paolo Sorrentino fin dal suo esordio. Una conferma e un primato. L’autore del momento è un feticista glamour che, dietro al botulinico maquillage stilistico, nasconde una monologante assenza di idee. Le battute più belle sembrano rubate alla premiata ditta Torre/Ciarrapico/Vendruscolo autori, loro si, di una “grande bellezza” sulla decadenza del nostro tempo. E’ molto meno di un Boris privo d'ironia, il suo atto di odio nei confronti di Buñuel e Fellini, capace però d’imbonire le masse staccando biglietti. Spot, videoclip e trailer con il difetto di essere noiosamente lunghi. Che Gambardella, l’errabondo gentiluomo vittima di un folgorante esordio, sia Sorrentino? QUANTA BELLA GENTE E CHE VINO!




dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.14