venerdì 24 gennaio 2014

The road to nowhere

Born to be wild... Scorro le #OscarNoms, i più social tra di voi mi capiranno, e con questo refrain in testa penso a Hopper, Fonda e Nicholson al galoppo sulla Road to nowhere (grande film del vecchio maestro Monte Hellman, ma questa è un'altra storia). Pensandoci mi accorgo che dal mio, parzialissimo, punto di vista il cinema nordamericano è soprattutto sulla strada. Fratello gemello del genere western, il road movie segna l'immaginazione collettiva con una sequenza d'immagini senza soluzione di continuità: da Lynch a Malick, passando per Hellman, Rafelson, Peckimpah, Coppola e Scorsese tutti, o quasi tutti, gli autori d'America hanno ceduto al fascino misterioso delle highway, del deserto, e delle grandi fughe. Amore a prima vista per me che porto il nome di Lázló Kovács, a doppio filo legato al cinema e alle fughe tanto al di qua che al di là dell'Atlantico. Tornando alle nomination agli Oscar di prossima consegna, le sei per Nebraska di Alexander Payne e le due di consolazione per Inside Llewin Davis dei fratelli Coen fanno eco alle critiche entusiastiche, ai premi e alle ovazioni che nel maggio scorso dal Festival di Cannes hanno raggiunto l'Italia. Una Palma d'Oro a Bruce Dern protagonista di Nebraska e il Gran Premio della Giuria al film dei Coen hanno contribuito a creare attesa e curiosità nei confronti di questi due ennesimi, grandissimi, american road movies in uscita nelle sale nel mese di febbraio. Ecco fatto dunque, il mio parere su Nebraska, film in sala in questi giorni e il parere di Andrea Mincigrucci (sempre lo stesso migrante dell'intelletto che ha la fortuna di vivere a Strasburgo) su Inside Llewin Davis, che da noi uscirà a fine mese.





NEBRASKA
Nebraska e il west secondo Payne. Regista e coscienza di un cinema che come pochi altri si bea di vizi e virtù dell’America republicandemocratica. On the road come ai tempi di Sideways, sta volta al trotto di una Subaru ci sono padre e figlio. Dal Monte Rushmore alle distese di mais del Nebraska, i cercatori d’oro al tempo della crisi ci guidano alla riscoperta dell’America e dei suoi pionieri, proiettandoci in un bianco e nero senza tempo, dove uomini e donne puzzano e si annoiano tra il chiacchiericcio e la birra, in attesa di una scazzottata al bar. Sarà la ricerca di un’improbabile fortuna, il mcguffin dal quale partire e attorno al quale riannodare i sentimenti e la storia della famiglia Grant. Il miglior lungometraggio di Alexander Payne, cinico e barocco come un film di Nicholas Ray, trova compiutezza nella fisicita segnata dal tempo di Bruce Dern, icona western che in sella al suo nuovo pick-up rende giustizia ed immortalità alla sventurata figura di Woody T. Grant. THE IMMAGINATION IS NOT A STATE: IT IS THE HUMAN EXISTENCE ITSELF (William Blake)



INSIDE LLEWIN DAVIS (A proposito di Davis)

C’è un tempo ciclico, che è quello della serie degli accordi delle canzoni folk. Dal Sol7 si torna al Do maggiore. Ma è un tempo ciclico con sfumature armoniche, suggestioni emozionali, sempre diverse, sempre dirompenti nella loro semplicità. Ed è semplice la storia di Llewin Devis (un superlativo Oscar Isaac), il cantante folk di origine gaeliche di cui i Coen ci raccontano la storia. Clichés e originalità, si perché c’è sempre una vita passata tra i divani di amici, la strada e i caffè di New York, c’è sempre la virata road movie erede del grande cinema americano, e le tasche sono sempre vuote. Ma stavolta insieme alla chitarra sotto braccio c’è un gatto, e una bohème di facciata che puzza di borghesia e che strizza l’occhio a velleità di star system, ci sono i rifiuti e le delusioni, e non c’è il lieto fine. E Llewin che continua a lottare anche contro cantori irlandesi e feroci cow boys, per guadagnarsi la sua vita con le sue canzonette di quattro accordi, dove dal Sol7 si torna al Do maggiore; ma quello che ci raccontano le sue canzoni, non c’era stato ancora raccontato, o almeno non così. Almeno per il sottoscritto, il capolavoro di Joel ed Ethan Coen. I’VE BEEN ALL AROUND THIS WORLD (Grateful Dead)


dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.19