NEBRASKA
Nebraska e il west secondo Payne. Regista e coscienza di un cinema che come pochi altri si bea di vizi e virtù dell’America republicandemocratica. On the road come ai tempi di Sideways, sta volta al trotto di una Subaru ci sono padre e figlio. Dal Monte Rushmore alle distese di mais del Nebraska, i cercatori d’oro al tempo della crisi ci guidano alla riscoperta dell’America e dei suoi pionieri, proiettandoci in un bianco e nero senza tempo, dove uomini e donne puzzano e si annoiano tra il chiacchiericcio e la birra, in attesa di una scazzottata al bar. Sarà la ricerca di un’improbabile fortuna, il mcguffin dal quale partire e attorno al quale riannodare i sentimenti e la storia della famiglia Grant. Il miglior lungometraggio di Alexander Payne, cinico e barocco come un film di Nicholas Ray, trova compiutezza nella fisicita segnata dal tempo di Bruce Dern, icona western che in sella al suo nuovo pick-up rende giustizia ed immortalità alla sventurata figura di Woody T. Grant. THE IMMAGINATION IS NOT A STATE: IT IS THE HUMAN EXISTENCE ITSELF (William Blake)
INSIDE LLEWIN DAVIS (A proposito di Davis)
C’è un tempo ciclico, che è quello della serie degli accordi delle canzoni folk. Dal Sol7 si torna al Do maggiore. Ma è un tempo ciclico con sfumature armoniche, suggestioni emozionali, sempre diverse, sempre dirompenti nella loro semplicità. Ed è semplice la storia di Llewin Devis (un superlativo Oscar Isaac), il cantante folk di origine gaeliche di cui i Coen ci raccontano la storia. Clichés e originalità, si perché c’è sempre una vita passata tra i divani di amici, la strada e i caffè di New York, c’è sempre la virata road movie erede del grande cinema americano, e le tasche sono sempre vuote. Ma stavolta insieme alla chitarra sotto braccio c’è un gatto, e una bohème di facciata che puzza di borghesia e che strizza l’occhio a velleità di star system, ci sono i rifiuti e le delusioni, e non c’è il lieto fine. E Llewin che continua a lottare anche contro cantori irlandesi e feroci cow boys, per guadagnarsi la sua vita con le sue canzonette di quattro accordi, dove dal Sol7 si torna al Do maggiore; ma quello che ci raccontano le sue canzoni, non c’era stato ancora raccontato, o almeno non così. Almeno per il sottoscritto, il capolavoro di Joel ed Ethan Coen. I’VE BEEN ALL AROUND THIS WORLD (Grateful Dead)
dalla rubrica MILLE E PIU' NON REPLICO pubblicata su UMBRIA NOISE n.19